Acireale. Dove si trova?
Acireale, provincia di Catania, costa ionica della Sicilia.
Il suo nome deriva dal mitico pastorello, Aci, da cui è nato uno dei principali miti della città.
È nota per il suo tardo Barocco, il Carnevale e le sue bellezze naturalistiche, come la Timpa.
Come arrivare ad Acireale
- In aereo: dall'Aeroporto di Catania Fontanarossa prendere la Tangenziale di Catania poi autostrada A18 (Messina/Catania) direzione Messina, uscita A18 ad Acireale. L'autobus AMT Alibus (passa ogni 20 minuti) conduce verso Catania centro, e dunque alla stazione centrale, dove è possibile prendere un autobus AST in direzione Acireale.
- In treno: vi sono treni che dal Nord Italia fino a Siracusa arrivano alla stazione ferroviaria di "Acireale". La stazione dista 2km (con un taxi o un autobus si arriva in 5 min al centro storico, a piedi è necessaria una buona mezz’ora).
- In autobus: dalla stazione degli autobus di Catania si può prendere l'autobus linea AST in direzione Acireale.
- In auto: basta seguire l'autostrada A18 da Messina o Catania e andare verso Acireale, seguendo poi le indicazioni per il centro città.
Ad Acireale puoi trovare musei, palazzi storici, chiese, percorsi naturalistici e spiagge da visitare nel corso della tua permanenza.
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Acireale Beach: Le spiagge “acesi”
Per gli amanti del mare e delle spiagge siciliane ecco quelle più vicine alla città di Acireale.
Le Chiazzette e il borgo marinaro di Santa Maria la Scala
- TIPOLOGIA: costa rocciosa
- PERCORSO: a piedi da Piazza Duomo basta percorrere tutta la via Romeo fino alla Piazza Santa Maria del Suffragio. Oltrepassandola ci si troverà davanti il ponte che conduce direttamente al sentiero naturalistico e da lì al borgo marinaro. Durata: 30-40 minuti
- ACCESSO: libero
Santa Tecla
- TIPOLOGIA: costa rocciosa
- PERCORSO: in auto tramite via Provinciale per Riposto. Durata: meno di 10 minuti
- ACCESSO: libero
Capo Mulini
- TIPOLOGIA: costa rocciosa
- PERCORSO: in auto tramite SS114 fino a Via Capomulini. Durata: meno di 10 minuti
- ACCESSO: libero (o disponibilità di lidi a pagamento)
Pozzillo
- TIPOLOGIA: costa rocciosa
- PERCORSO: in auto tramite Via Provinciale per Riposto (seguire le indicazioni stradali). Durata: meno di 20 minuti.
- ACCESSO: libero
Acitrezza, Acicastello e la riviera dei Ciclopi
- TIPOLOGIA: costa rocciosa
- PERCORSO: in auto tramite SS114 in direzione Catania (seguire le indicazioni stradali). Durata: 15-20 minuti.
- ACCESSO: libero (o disponibilità di lidi a pagamento)
Come ogni anno, l’arrivo della primavera e della bella stagione porta con sé le celebrazioni delle festività pasquali. Con l’avvicinarsi di questa importante ricorrenza fiori, coloratissime decorazioni e tante uova di cioccolato cominciano ad invadere case, scaffali e vetrine dei negozi. Tuttavia, quando sentiamo la parola Pasqua, i nostri pensieri corrono immediatamente alle uova di cioccolato. Queste che siano di cioccolato bianco, al latte o fondente, con o senza sorpresa, risultano essere le grandi protagoniste della festa. Da tradizione, infatti, vengono donate a grandi e soprattutto piccini e mangiate la domenica di Pasqua.
Vi siete mai chiesti com’è nata la tradizione di regalare e consumare le uova di Pasqua?
L'UOVO COME SIMBOLO NEI TEMPI ANTICHI
Sin dai tempi antichi l’uovo ha ricoperto vari ed importanti tratti simbolici.
Era innanzitutto il simbolo della vita in sé, ma aveva anche valore sacrale: secondo alcune remote credenze mitologiche, il cielo e la terra erano considerati come due emisferi che uniti andavano a formare un unico grande uovo. Su questa pista, anche gli antichi egizi affidavano all’immagine dell’uovo importanti valori simbolici, in quanto sarebbe stato considerato come il fulcro principale dei quattro elementi universali: acqua, fuoco, terra e aria.
Tuttavia, se parliamo di uovo in quanto dono, secondo la tradizione, furono i Persiani i primi a scambiarsi uova di gallina, come gesto beneaugurante per l’inizio della bella stagione. Solo successivamente, tale tradizione si diffuse tra Egizi, Greci e in seguito Romani, fino a raggiungere i giorni nostri.
L’UOVO COME SIMBOLO CRISTIANO
La nascita del Cristianesimo non fa cessare la continuità di tali tradizioni, anzi, le reinterpreta alla luce delle Sacre Scritture e ne garantisce ulteriore sviluppo e diffusione. Dunque, l’uovo diventa così il simbolo che meglio coglie il miracoloso significato della Resurrezione di Gesù Cristo. L’uovo, infatti, appare somigliante ad una pietra priva di vita, così come lo era il sepolcro nel quale era stato deposto Gesù dopo la crocifissione. Tuttavia, dentro l’uovo c’è una nuova vita pronta a “risorgere” da ciò che sembrava morto. Le similitudini tra l’uovo e il sepolcro e tra il pulcino e Cristo hanno permesso ai cristiani di diffondere in semplici parole il miracolo della Resurrezione.
DALLE UOVA DI GALLINA DIPINTE DI ROSSO...
Ai primi cristiani risale anche la tradizione di pitturare le uova di gallina di rosso, colore che ricorda il sangue di Cristo, e di decorarle con croci o altri simboli. Si tratta di una tradizione che perdura ancora oggi nei paesi ortodossi e cristiano-orientali.
Ma per quale motivo si diffuse questa pratica?
Secondo alcuni studiosi tale tradizione risulta essere fortemente connessa alla Quaresima, ovvero il periodo di quaranta giorni precedente la Pasqua nel quale i credenti sono tenuti all’astinenza dalle carni. Un tempo, in questa fase di digiuno, anche le uova cessavano di essere consumate. Tuttavia, appariva impossibile costringere le galline a non depositare uova per l’intero periodo quaresimale, di conseguenza, i primi cristiani si ritrovavano con un surplus di uova che non potevano mangiare. Da qui nacque la tradizione di bollirle, talvolta avvolgendole in foglie e fiori, successivamente dipingerle, decorarle e infine donarle.
… ALLE UOVA D'ORO E D'ARGENTO!
Durante il medioevo, alle tradizioni già elencate se ne aggiunse una nuova: ovvero la creazione di uova artificiali fabbricate o rivestite in materiali preziosi quali oro, platino e argento. Ovviamente si tratta di una tradizione che trovò l’appoggio esclusivamente delle classi sociali più elevate e delle grandi casate nobiliari europee. Il primo a sviluppare questa usanza fu Edoardo I d’Inghilterra che tra il 1272 e il 1307, commissionò la fabbricazione di più di 450 uova rivestite di una lamina dorata da donare in occasione delle festività pasquali.
MA IL CIOCCOLATO?
Le uova di cioccolato, che noi tutti conosciamo, sono state inventate nella seconda metà dell’Ottocento dai grandi maestri cioccolatieri presenti in Francia e in Germania. Tra questi ricordiamo Rodolphe Lindt, che riuscì ad ottenere un cioccolato talmente morbido da richiamare l’attenzione delle più grandi fabbriche di cioccolato d’Europa.
Foto creata da KamranAydinov
IL CIOCCOLATO È BUONO, MA VALE DI PIÙ SE CONTIENE LA SORPRESA, NO?
L’idea di aggiungere una sorpresa all’interno delle uova la si deve al famoso orafo Peter Carl Fabergé, che rifacendosi alla tradizione russa delle matrioske, alla fine dell’Ottocento, realizzò per la zarina Maria di Russia, moglie di Alessandro III, un gioiello in platino smaltato di bianco a forma di uovo che conteneva all’interno un altro uovo in oro. In questo modo venne inventato il primo uovo con sorpresa.
E voi conoscevate le antiche origini dell’uovo di cioccolato?
Continuate a seguirci per conoscere altre curiosità.
Intanto a noi non resta altro che augurarvi di trascorrere una serena Pasqua e… di ricevere tante uova!
La storia della Sicilia è stata particolarmente influenzata dalle varie civiltà che si sono affermate nel corso dell’antichità sviluppando una moltitudine di culture e tradizioni. Da sempre, a suscitare un fascino peculiare è il maestoso vulcano Etna. La sua storia, infatti, è caratterizzata da un ricchissimo numero di eruzioni che, sin dalla preistoria, si sono abbattute sui territori circostanti, spesso, interessando e minacciando la stessa città di Catania. Con i suoi 3340 km di altezza, il vulcano chiamato anche Mongibello, oltre ad essere il più alto d’Europa è anche uno dei più attivi al mondo, primati che annualmente consentono di richiamare l’attenzione di numerosi visitatori attratti dal fascino delle sue improvvise e spettacolari eruzioni.
Figura 1. Etna in eruzione
Miti e credenze popolari
Le eruzioni, particolarmente regolari e intense, hanno reso l’Etna un soggetto di grande interesse per la mitologia e le credenze popolari. Da sempre, infatti, il possente vulcano che domina l’intera Sicilia orientale è stato fonte di grande ispirazione per antiche leggende, talvolta legate agli dèi dell’Olimpo e ai giganti, loro eterni rivali.
Gli antichi greci giustificavano le continue eruzioni dell’Etna attraverso il mito del gigante Encelado. La storia di Encelado si inserisce nel grande racconto della Gigantomachia, ovvero la violenta lotta per la supremazia del mondo, nella quale si scontrarono da una parte i giganti e dall’altra le divinità dell’Olimpo. Del mito di Encelado sono state diffuse diverse varianti, quella che vi racconteremo è la più famosa!
Il mito di Encelado
Encelado era il maggiore dei giganti, figlio di Gea e di Urano.
Un giorno decise di sfidare gli dèi, togliere il potere a Zeus e governare il mondo al suo posto. Le sue caratteristiche fisiche erano ben diverse rispetto a quelle degli altri giganti. Egli, infatti, aveva una lunga coda di serpente e una folta barba in grado di emettere scintille di fuoco ogni qual volta si adirava. Queste gli bruciacchiavano barba e capelli, che però, subito dopo, ricrescevano più folti di prima.
A causa di tutte queste sue peculiarità, il gigante Encelado era temuto da tutti i suoi fratelli che pur di non farlo adirare erano costretti ad assecondare le sue decisioni senza controbattere. Per conquistare il potere e l’ambito trono di Zeus i giganti posero uno sull’altro i cocuzzoli dei monti più alti, tra cui il Monte Bianco, le montagne asiatiche e il Pindo greco, in modo tale da essere sfruttati come scale dallo stesso Encelado. Tuttavia, prima di raggiungere la vetta dell’Olimpo, il gigante venne intercettato dalla dea Atena, la quale scagliò un grande masso di forma triangolare che lo colpì al centro del petto.
Figura 2. Rilievo di Atena che colpisce Encelado dal tempio E di Selinunte (La Sicilia in rete)
Dopo aver subito il duro attacco, Encelado cadde nel mar Mediterraneo dove venne sepolto dall’enorme masso e dal cumulo di monti e terra che egli stesso aveva precedentemente predisposto per raggiungere la dimora delle divinità.
Figura 3. Fontana di Encelado nei giardini di Versailles (Wikiwand)
Con la caduta del gigante nacque la splendida isola di Sicilia. Secondo il mito, infatti, l’alluce destro di Encelado si trova sotto il Monte Erice, la gamba destra tende verso la città di Palermo, mentre la sinistra verso Mazara. Per quanto riguarda le braccia, queste sono distese e si trovano una lungo Messina e l’altra verso Siracusa. Infine, la testa giace sotto l’Etna che erutta ogni qualvolta il gigante manifesta la sua collera nei confronti di Zeus e delle altre divinità dell’Olimpo. La rabbia del gigante, infatti, è così insostenibile da iniziare a sputare fuoco e fiamme dal cratere del vulcano catanese.
Figura 4. Il gigante Encelado intrappolato (castelvetranoselinunte.it)
Questo mito, dunque, attribuisce l’intensa e regolare attività vulcanica dell’Etna al respiro rabbioso e infuocato di Encelado, mentre i tremori della terra, che si verificano durante i terremoti, sono da rintracciare nel suo rotolarsi sotto l’isola a causa delle ferite riportate dopo la caduta.
Talvolta, il mito riesce a sopravvivere tanto che ancora oggi in Grecia il terremoto viene poeticamente chiamato un “colpo di Encelado”.
E voi? Conoscevate questo peculiare mito sulla nascita della Sicilia e sulle eruzioni vulcaniche dell’Etna?
L’affascinante mitologia greca è intrisa di storie che continuano ad appassionare chiunque a distanza di millenni: vengono citati gli dei, le gesta di eroi e le malefatte di altri, ma anche di coloro che in vita furono mortali.
La morale all’interno di questi racconti può essere talvolta dubbia e questi racconti possono essere conditi da episodi di abusi, omicidi e tradimenti, per esempio.
Oltretutto, gli epiloghi di talune storie non sono sempre a lieto fine.
Il mito che vi proponiamo è tinto di amore e gelosia e viene raccontato magistralmente da Ovidio nelle sue “Metamorfosi”, con tre protagonisti in scena:
- Aci, un pastore, figlio di Pan e della ninfa Simaeti;
- Galatea, una ninfa marina, figlia di Nereo e Doride,
- Polifemo, un ciclope innamorato di Galatea.
Aci e Galatea - Pinacoteca Zelantea, Acireale.
Sebbene Galatea fu desiderata da molti, essa provò costantemente a respingere le avances dei suoi pretendenti. Ad insidiare i suoi progetti fu Polifemo, un ciclope orrido nell’aspetto e brutale nei modi.
Galatea lo detestava a tal punto da definirlo «crudele e ripugnante persino alle selve, che solo a rischio della propria vita può un estraneo avvicinare, che spregia l'Olimpo e i suoi numi».
L’unico ad aver fatto breccia nel cuore di Galatea fu il bellissimo Aci, un fanciullo di sedici anni. L’amore dei due sarebbe stato eterno, ma il fato non fu dello stesso parere.
I sentimenti del ciclope per la ninfa divennero sempre più selvaggi nel tempo, così com’era nella sua natura. Egli, che era a conoscenza dell’amore reciproco che legava il pastorello alla ninfa, provò a convincere la sua amata implorando di recarsi nella sua dimora, una grotta sotto il vulcano Etna.
Polifemo le offrì le ricchezze della terra che lo circondava e del bestiame in suo possesso e affermò: «Una chioma foltissima mi spiove sul volto truce e mi vela d'ombra le spalle, come un bosco. E non credere brutto che il mio corpo irto sia tutto di fittissime e dure setole; brutto è l'albero senza fronde, brutto il cavallo senza criniera che gli ammanti il biondo collo; piume ricoprono gli uccelli, beltà delle pecore è la lana: agli uomini si addicono la barba e il pelo ispido sul corpo. Ho un occhio solo in mezzo alla fronte, ma a un grande scudo lui assomiglia. E poi? Dall'alto del cielo il Sole non vede tutto l'universo? Eppure anche lui ha un occhio solo.»
Dopo queste parole, egli tuonò la minaccia nei confronti del pastorello: «Che lui si compiaccia pure di sé stesso e, cosa che non vorrei, piaccia anche a te, Galatea; ma se capita l'occasione, sentirà come corrisponde a questo corpo immenso la mia forza. Lo squarterò vivo e per i campi, sopra le acque in cui vivi a brandelli scaglierò le sue membra: e s'unisca a te se gli riesce!»
Da lì a poco si concluse la tragedia di un amore non ricambiato e di un altro che non fu mai destinato a finire.
Aci e Galatea - Raciti Palace, Acireale.
Polifemo rimase fedele a quanto aveva detto e, cogliendo i due amanti vicini, fu preso dalla collera e li terrorizzò: Galatea per lo spavento si rifugiò in mare, mentre Aci provò a fuggire dalle grinfie del ciclope.
Sfortunatamente la forza del geloso Polifemo si abbatté letteralmente su di lui: il povero fanciullo fu travolto da un macigno che gli fu scagliato addosso.
Aci, privo di vita, tinse col suo sangue il masso che lo aveva colpito ed il suo corpo, squarciato, divenne pallido.
Zeus, padre di tutti gli dei, misericordioso del dolore patito dalla ninfa decise di graziare quel corpo martoriato e concesse una nuova vita ad Aci: il suo sangue divenne un fiume e per sempre ne conservò il nome.
Pompeo Batoni - Aci, Galatea e Polifemo (1761)
Come già detto, la conclusione di questo mito fu dolceamara: l’amore di Polifemo non fu mai ricambiato ed egli fu macchiato dall’omicidio di un giovane, la cui unica colpa fu quella di amare la ninfa Galatea.
La metamorfosi di Aci si sposta dal mito alla realtà ed il suo nome rimane leggibile sia nel cosiddetto “U sangu di Jaci”, un fiume sotterraneo che sgorga nei pressi di Santa Maria la Scala, sia nell’antica Akis, il nome originario dell’odierna Acireale.