Lo scorso 21 dicembre siamo entrati ufficialmente nella stagione invernale, la più fredda dell’anno, che precede l’arrivo della primavera e del bel tempo. In passato, per spiegare il fenomeno della ciclicità delle stagioni che ha da sempre caratterizzato l’intera umanità, l’uomo ha fatto ricorso ai racconti mitologici con lo scopo di tentare di trovare un perché a ciò che lo circondava.
Tra i miti più famosi e celebrati della tradizione greca ricordiamo l’episodio del “Ratto di Persefone” e della disperata ricerca da parte della dea delle messi Demetra.

Le pendici dell’Etna e le rive del meraviglioso lago di Pergusa ad Enna rappresentano lo scenario di questo particolare racconto. Tuttavia, fonti antiche, tra le quali Strabone, sostengono che l’episodio del mito non si sia verificato nella fertile Sicilia, bensì in area calabrese e per la precisione ad Hipponium, odierna Vibo Valentia.                                                                     

Demetra, dea dei campi e del grano, aveva una figlia, la bellissima Persefone detta anche Kore, che un giorno le fu strappata dal perfido Ade, il dio degli inferi. Quest’ultimo, infatti, innamorato della fanciulla chiese a Zeus, padre degli Dei, il permesso di sposarla. Zeus, però, non avrebbe potuto né negare né concedere il suo consenso.
Ade, pazzo d’amore per la bella Persefone, decise di raggiungere la fanciulla mentre era intenta a cogliere fiori in un meraviglioso prato verde. Uscito dagli inferi e trasportato da un grande carro trainato da quattro cavalli neri, la rapì e la condusse nell’Oltretomba per farla sua sposa. 

 

                                                                                   

          Il ratto di Persefone, opera di Gian Lorenzo Bernini conservato nella Galleria Borghese di Roma.

   (https://it.wikipedia.org/wiki/Ratto_di_Proserpina_Bernini)

La madre Demetra, disperata, la cercò ovunque senza sosta per nove giorni e nove notti, mentre la natura, riflettendo il dolore della dea per la scomparsa della figlia, cominciò ad appassire. Zeus, preoccupato, ordinò ad Ade l’immediata liberazione della fanciulla: il dio dell’Oltretomba obbedì ma non prima di mettere in atto il proprio inganno. Prima di ricondurre Persefone dalla madre le offrì in pasto una melagrana, il frutto dell’Oltretomba, se non anche simbolo di matrimonio e fertilità. La consumazione di tale frutto, infatti, avrebbe impedito alla fanciulla di restare per sempre nel regno dei vivi. Dal momento che ne aveva mangiato solo sei chicchi Persefone sarebbe rimasta negli inferi per sei mesi l’anno, per poi fare ritorno tra le braccia della madre che avrebbe nuovamente fatto rifiorire il mondo. Demetra, così, decretò che nei mesi nei quali la figlia fosse rimasta nel regno dei morti nel mondo sarebbe calato il freddo ed il gelo dando origine all’autunno e all’inverno, mentre nei restanti mesi, che avrebbe passato in compagnia della figlia, la terra sarebbe rifiorita dando origine alla primavera e all’estate.

                                        
Acroliti di Demetra e Kore conservati nel Museo Archeologico di Aidone, Enna.

La Sicilia, strettamente connessa alle figure di Demetra e della figlia Kore, è ricca di templi, strutture ed aree naturali dedicati alle due dee. Inoltre, nell’isola, l’antico culto delle due divinità ha lasciato tracce sino ai giorni nostri, individuabili nella celebrazione di alcune feste religiose cristiane. Durante le Tesmoforie, antiche feste celebrate in onore di Demetra, era tipica l’abitudine di gettare resti di carne putrefatta nei campi con lo scopo di favorire il raccolto agricolo. Fino a non molto tempo fa, una situazione particolarmente simile si presentava durante la festa religiosa di San Giorgio a Ragusa, nella quale grossi pani venivano portati in processione dalla popolazione, per poi successivamente essere sminuzzati e distribuiti agli agricoltori presenti, affinché ognuno di essi ne buttasse un pezzo nel proprio campo agricolo propiziando il buon raccolto.

Nel centro di Catania è stato rinvenuto il più grande deposito votivo greco, colmo di ceramica, terrecotte figurate e materiali vari dedicati al culto di Demetra e Kore, databili tra gli inizi del VI e la fine del IV secolo a.C. Inoltre, il rinvenimento di ceramica d’importazione proveniente da diverse regioni greche evidenzia come l’area assumesse una notevole importanza nel Mediterraneo, sottolineandone una frequentazione di persone provenienti dall’intera Grecia. 

 

                                            

                                            
  Reperti provenienti dalla stipe votiva rinvenuta nel centro di Catania. (Foto da lasicilia.it)


Restando sempre a Catania, a nord della città, nel quartiere di San Giovanni Galermo, è situata la celebre grotta di San Giovanni, nella quale secondo la leggenda sarebbe fuoriuscito il dio Ade per portare a compimento il tremendo piano di rapimento della fanciulla.
Ma da dove deriva il suo nome?
Oltre alla leggenda riguardante la fuoriuscita di Ade dagli inferi, la grotta è connessa anche ad un famoso personaggio della cristianità. Si tratta di San Giovanni Battista che, stando alla leggenda, giunto in Sicilia avrebbe trovato riparo nella grotta, trascorrendovi una notte. La cavità si mostrò molto utile per la popolazione catanese anche nel corso della Seconda Guerra Mondiale, rappresentando un rifugio sicuro dai bombardamenti aerei. I recenti interventi di rilevamento topografico hanno permesso il rinvenimento di frammenti di ceramica appartenenti alla cultura di Castelluccio e alla fase bizantina dell’isola.


Tuttavia, testimonianze del culto di Persefone provengono anche dalla Magna Grecia. Molti reperti materiali, infatti, sono stati rinvenuti in territorio calabrese a seguito di vari scavi archeologici svolti nel sito di Locri Epizefiri. Le principali attività di ricerca di svolsero nel primo decennio del secolo scorso sotto la guida dell’intraprendente archeologo Paolo Orsi (1859-1935), che si rese protagonista del rinvenimento di un immenso deposito votivo connesso ad un Persephoneion, un santuario dedicato alla dea Persefone. Tra le numerosissime offerte votive rinvenute nel grande deposito spiccano senza dubbio i cosiddetti pinakes. Si tratta di sottili tavolette rettangolari in terracotta, decorate a bassorilievo ed arricchite da una vivace colorazione policroma, databili alla metà del V secolo. Le scene raffigurate appaiono legate al culto della dea Persefone. I pinakes sembrerebbero tracciare l’evoluzione della figura stessa della dea, che passa da giovane vergine a donna sposata e regina degli inferi. Di conseguenza, sono rappresentate scene della sua fanciullezza, del suo rapimento ad opera del dio Ade, dei preparativi per le solenni nozze, fino a giungere alla raffigurazione della dea seduta in trono in compagnia del suo sposo con altre divinità al cospetto. Spesso le scene sono caratterizzate esclusivamente dalla sola rappresentazione di Persefone, che appare seduta in trono in tutta la sua maestosità, sinonimo della grande devozione che i cittadini locresi nutrivano nei confronti della regina dell’Oltretomba. 


                                                  Ratto di Persefone (https://it.wikipedia.org/wiki/Pinax#/media/File:Pinax_con_Ade_che_rapisce_Kore-Persefone,_da_Locri_-_MARC.jpg)

                                                       

Persefone e Ade seduti in trono (https://it.wikipedia.org/wiki/Pinax#/media/File:Locri_Pinax_Of_Persephone_And_Hades.jpg)


Persefone viene, dunque, rappresentata come la fanciulla che diventa donna per mezzo del rapimento ad opera di Ade.
Il messaggio celato dietro alle scene, rappresentate nei pinakes locresi, è quello di una divinità intesa come personificazione del passaggio, dello scorrere delle stagioni e del transito dalla vita terrena a quella ultraterrena.
La maggior parte di questi quadretti in terracotta oggi è possibile ammirarla presso il Museo Nazionale di Reggio Calabria e presso il Museo Archeologico Nazionale di Locri Epizefiri.

Voi conoscevate questo racconto? Avete mai visitato i luoghi in cui è ambientato il mito di Demetra e Persefone?

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